TERME DI VESPASIANO
Le antiche terme, ancora visibili nel territorio del comune di Cittaducale (località Caporio-Cesoni), sfruttavano sorgenti d’acqua le cui proprietà curative erano conosciute anche dagli antichi (Varrone, ling., V, 71; D.H., I, 16; Seneca, Quest. nat., III, 23; Plinio il Vecchio, N.H., Il, 95 1-3). In particolare Strabone (V, 3, 1) ricorda l’effetto terapeutico delle acque ghiacciate di Cutilia utilizzate sia per bere, sia per i bagni. Il sito, collegato al lacus Cutiliae ed al mitico popoìo dei Pelasgi, era considerato da Varrone Umbilicus Italiae. Il vicus dove sorgevano le terme è menzionato in più occasioni ed è collegato a fatti importanti, quali la marcia di Annibale verso Roma e la morte dell’imperatore Vespasiano, originario della Sabina e frequentatore abituale delle terme, avvenuta nel 79 d.C., proprio per aver abusato di queste acque troppo fredde (Svetonio, Vesp.,). Egli risiedeva in una grande villa, forse quella i cui resti sono ancora visibili in località Ortali, dove sarebbe morto due anni dopo anche il figlio Tito.
Il complesso termale vero e proprio, articolato in quattro successivi terrazzamenti, ha inizio dalla via detta Strada Vecchia, che ricalca in modo approssimativo il tracciato della Salaria romana, con un fronte di circa 300-400 m, compreso fra la diruta chiesa di S. Maria dei Cesoni ed il canale della centrale idroelettrica di Cotilia, che ha tagliato una parte delle strutture.
I resti monumentali visibili sono riferibili al secondo terrazzo, oggetto sia di rinvenimenti, sia di vere e proprie campagne di scavo e restauro succedutesi dal 1969 al 1986. Al centro è stata scoperta, anche se solo parzialmente, una grande piscina (m 60 x m 24) ricavata nel banco affiorante e regolarizzata solo in alcuni punti con opere in muratura; si tratta con molta probabilità della natatio, accessibile da ripide scalette poste simmetricamente sui lati lunghi. Lo scavo ha portato alla luce uno spesso strato di deposito calcareo, mentre non sussistono, ad eccezione di tracce sul bordo di cocciopesto, elementi pertinenti alla pavimentazione della vasca che, data la natura della sorgente, doveva essere utilizzata a scopo terapeutico. Sui lati erano diversi ambienti articolati con un fronte composito di cui attualmente sono conservati solo i lati nord ed est, le cui strutture raggiungono i m 5 di altezza. Sulla facciata settentrionale, lunga m 76,9 si aprono alternativamente nicchie rettangolari e semicircolari disposte ai lati di un ambiente a pianta rettangolare e con abside sul lato di fondo, il punto focale dell’articolazione della parete.
La presenza nell’abside di otto aperture relative ad altrettante bocche d’acqua, il cui getto doveva confluire in una piccola vasca, ha permesso di identificare questo ambiente come un ninfeo del tipo detto “a camera absidata”. Dietro questo prospetto è un corridoio, coperto a volta, che corre per tutta la lunghezza parallelo al fronte.
La costruzione di questa parte dell’edificio ha obliterato strutture precedenti, in particolare due ambienti disposti con orientamento difforme a quello del complesso. La facciata orientale, lunga m 66,95, conserva grandi ambienti rettangolari alternati a piccole absidi e, nell’angolo nord est, la scala di accesso al piano superiore, che su questo lato si articolava con un portico-terrazza di cui restano i pilastri e parte della pavimentazione in mosaico. Lo scavo ha permesso di recuperare nel corridoio materiale decorativo quale: mosaico, intonaco dipinto, cornici marmoree ecc., mentre della vasca provengono ceramiche di vari periodi.
Ad eccezione dei materiali sopra descritti e di alcuni lacerti di mosaico conservati in situ poco resta dell’apparato decorativo. Le indagini ad oggi effettuate, limitate rispetto alla notevole estensione delle terme, non permettono di comprendere appieno il funzionamento e l’articolazione strutturale dell’impianto. La tecnica costruttiva utilizzata, opera incerta, con ammorsature in blocchetti, consente di datare la costruzione tra la seconda metà del II sec. a.C. e la prima metà del I sec. a.C., anche se assai probabile una frequentazione in epoca precedente, come indicato da alcune strutture scoperte nell’angolo nord-ovest e da rari frammenti ceramici (bucchero). Dalla Tabula Peutigeriana apprendiamo che l’impianto era ancora in funzione almeno sino al IV sec. d.C., mentre la presenza, nell’ambiente ad ovest del ninfeo, di sepolture riferibili al V-VI sec. d.C. indica un abbandono almeno parziale del complesso.
Come testimoniato dalla ceramica rinvenuta nell’area della piscina e nel cosiddetto mulino il sito fu frequentato, non sappiamo se ancora a scopi termali, sino al XII sec. Questa tesi è avvalorata dalla chiesa di S. Maria in Cesonis, sicuramente attesta nel XII sec., ma la cui fondazione deve risalire ad epoca più antica come indicano le strutture romane riconducibili, sembra, all’impianto termale e riutilizzate nelle murature. Materiale archeologico proveniente dalle terme è stato usato anche per la costruzione della chiesa di S. Vittorino, dedicata nel 1613, ora completamente allagata per la presenza di una sorgente d’acqua.
1.2 L’impianto dal Medioevo all’età moderna
Non sappiamo se nel periodo medievale e rinascimentale le acque delle terme di Cotilia siano state usate. Solo nel XVI secolo il medico Andrea Baccile menziona brevemente nel suo De Thermis del 1588, riferendo come ai suoi tempi di esse non vi fosse rimasta più traccia oltre il nome. Più tardi anche Salvatore Massonio, in una sua relazione del 1621, parlando delle terme di Antrodoco, le cita solo per distinguerle da queste ultime.
Si arriva così alla fine del secolo scorso, quando Giulio Bonafaccia, allora proprietario di quelle terre, decise di costruire un piccolo stabilimento termale, occupandosi personalmente della sua gestione. Questo avvenimento spinse nel 1893 il famoso chimico Guido Baccelli ad indirizzare al Bonafaccia una lettera di approvazione per l’iniziativa, auspicando un successo che potesse rinverdire i fasti dell’epoca romana. Tale iniziativa però non sortì gli effetti sperati soprattutto a causa delle ridotte dimensioni dell’edificio. Esso era costituito, infatti, da poche cabine in muratura, con vasche in pietra munite di strumenti tecnici piuttosto rudimentali; ridotti erano anche i servizi che venivano offerti agli ospiti, limitati ai soli bagni caldi per le malattie della pelle e delle ossa, oltre ad un punto di ristoro e un modesto albergo. L’impianto, inoltre, non fu neanche favorito dalla sorte; una violenta inondazione del vicino fiume Velino lo sommerse, distruggendolo.
Verso gli anni ‘30 fu costruito un nuovo impianto, ma anch’esso di aspetto dimesso. Durante i decenni successivi si succedettero diverse gestioni che si sforzarono di volta in volta di migliorarne le condizioni, ma sempre con modesti risultati.